- Nel suo libro “Il ricatto dei mercati”, dove è ben documentato anche il legame tra il capitalismo finanziario e il lavoro precario, Lei ha dedicato ampio spazio al fenomeno dei call center: una scelta per precorrere i tempi di indagine e di ricerca o per dar voce a un anello debole e precarizzato della New Economy?
- Le pressioni mediatiche e gli interventi politici che ruolo possono avere per regolamentare la condizione lavorativa e affrontare la crisi occupazionale che stanno investendo il mondo del contact center in Italia negli ultimi anni?
- Aziende, sindacati, lavoratori e istituzioni: è possibile che trovino una “quadra” per risolvere delle vertenze (quelle Almaviva e Gepin) che hanno un grande impatto socio-economico per la Campania?
- Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano, così recita l’art. 40 della Costituzione. L’astensione collettiva dal lavoro da parte di lavoratori subordinati, di regola, viene indetto dai sindacati con lo scopo di sollecitare migliori condizioni di lavoro, ma può anche tendere a fini diversi: evitare licenziamenti, contestare l’autorità (sciopero politico) o di sostenere le richieste di altri (sciopero di solidarietà). Per antonomasia è il diritto che affranca il cittadino/lavoratore da uno stato di servitù, quale diritto di libertà che non può subire limitazioni. Ebbene, a fronte di questa premessa teorica, come si spiega il fatto che il 30 aprile allo sciopero nazionale indetto dai sindacati, segnatamente a Napoli, una parte di dipendenti sarebbe indecisa se non restia a partecipare? Forse sono quelli che probabilmente si sentono al sicuro perché non rientrerebbero tra gli esuberi o quelli che ritengono inopportuno scioperare prima di conoscere il finale della farsa di scena al Mise?
- Questo tipo di scelta rappresenta, secondo Lei, l’atteggiamento ideale per l’azienda, ma controproducente per la solidarietà tra lavoratori proprio perché nessuno può sentirsi al sicuro? Oggi tocca a questi 2700 dipendenti, ma domani, non appena Almaviva troverà altre sedi più convenienti, potrebbe toccare agli altri?
- Nell’immaginario collettivo, il lavoratore del call center è lo studente o il giovane laureato nell’attesa di un’occupazione per cui aveva conseguito il titolo. Oggi, soprattutto, nel meridione questa scelta lavorativa appartiene a chi, nell’attesa di una stabilizzazione, ha deciso con coraggio di crearsi una famiglia, ormai non più giovane e non con meno responsabilità. Investire in un’azienda, grazie alla quale poter costruire il proprio futuro, il licenziamento rappresenta un fallimento oltre che economico anche personale, disincentivano il cittadino a credere di poter far parte di un tessuto socio economico a cui apportare benefici attraverso il proprio lavoro. Destabilizzare anche questa parte di economia, inevitabilmente a cosa condurrà?
MARIA ROSARIA CARDENUTO
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